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  • Circa 2000 cristiani hanno dovuto lasciare le loro case a causa dei disordini. (Foto: «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)»)
  • I cristiani perseguitati in fuga dagli estremisti in Pakistan hanno passato la notte nascosti nei campi di canna da zucchero. (Foto: «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)»)
  • L'arcivescovo Benny Travas ha voluto vedere la distruzione sul campo e stare al fianco dei cristiani perseguitati. (Foto: «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)»)
  • I cristiani sono solo cittadini di seconda classe in Pakistan, secondo l'arcivescovo Benny Travas (Foto: «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)»)
  • I cristiani sono solo cittadini di seconda classe in Pakistan, secondo l'arcivescovo Benny Travas (Foto: «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)»)
  • L'arcivescovo Benny Travas non può credere ai suoi occhi. L'entità della distruzione è incredibile. (Foto: «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)»)

Esodo di massa in Pakistan mentre gli estremisti bruciano case e chiese

Lo scorso 16 agosto i cristiani di Jaranwala, vicino Faisalabad, nel Punjab pachistano, sono fuggiti in massa a seguito di attacchi da parte di estremisti islamici, i quali hanno lanciato sassi e pietre e hanno appiccato il fuoco a 21 chiese e cappelle, centinaia di case cristiane e un cimitero. L’ondata di violenza sarebbe una conseguenza di un presunto atto blasfemia di due cristiani accusati di aver profanato il Corano e insultato il Profeta dell'Islam. Secondo fonti locali cristiane, circa 1.000 persone avrebbero abbandonato le loro case.

In base alle cosiddette leggi sulla blasfemia, introdotte dal Generale Zia-ul-Haq tra il 1982 e il 1986, i reati punibili includono la «profanazione» del Corano e le offese al Profeta Maometto, che comportano rispettivamente come pena massima l’ergastolo e la condanna a morte. Il concetto di “blasfemia” è piuttosto ampio, e per questo motivo le norme vengono utilizzate spesso in modo improprio per sanzionare vari tipi di condotta, inclusa l’irriverenza verso persone, oggetti di culto, costumi e credenze.

Il gregge aggredito
Don Abid Tanveer, vicario generale della diocesi cattolica di Faisalabad, in un colloquio con «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)» racconta che «la situazione è stata terrificante. I cristiani sono molto spaventati. Per favore pregate per la nostra gente, prega affinché le loro vite possano essere protette. Molte persone hanno perso tutto. Non sanno cosa fare o dove andare». 

Don Khalid, parroco di San Paolo, a Jaranwala, si è dovuto chiudere all'interno della casa parrocchiale mentre gli estremisti circondavano l’edificio chiedendogli a gran voce di uscire. Gli aggressori, non avendo ottenuto nulla, si sono allontanati, permettendo così al sacerdote di fuggire, ma in un secondo momento sono tornati per dare fuoco ai certificati di battesimo, matrimonio e morte custoditi nell'ufficio parrocchiale. Secondo testimoni locali contattati da «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)», gli aggressori hanno iniziato a gettare mobili in strada invocando la morte dei presunti blasfemi. Sempre secondo fonti locali di «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)», a Faisalabad le moschee hanno invitato la popolazione, tramite gli altoparlanti, a “uscire e uccidere” i cristiani. Lacrime di tristezza e paura sono state versate domenica 20 agosto mentre una folla di 700 persone partecipava alla Messa fuori dalla chiesa di San Paolo. La celebrazione è stata presieduta in strada da mons. Indrias Rehmat, Vescovo di Faisalabad. Nonostante fossero presenti più di 30 poliziotti i fedeli erano oppressi dalla paura. 

Non solo musulmani estremisti 
Le fonti locali di «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)» hanno descritto gruppi di musulmani locali che, rivolgendosi ai cristiani, hanno lanciato imprecazioni con tono rabbioso. Fortunatamente il fronte estremista non è così compatto. Le stesse fonti hanno infatti riferito di una diffusa preoccupazione avvertita da molti musulmani, i quali si vergognano di quanto accaduto e vogliono aiutare in ogni modo possibile. Alcuni leader islamici avrebbero chiesto di assicurare alla giustizia i responsabili delle violenze.

II Pastori invocano giustizia
La Conferenza episcopale cattolica pachistana (PCBC) ha reagito all’ultima ondata di persecuzione con un comunicato in cui chiede che venga fatta giustizia. «Il PCBC denuncia questo atto vergognoso ed esorta i governi provvisori federale e provinciale ad adottare misure severe contro i colpevoli per assicurarli alla giustizia». Secondo i Vescovi, scopo degli estremisti è far credere che i cristiani «sono in realtà cittadini di seconda classe del Pakistan e rimarranno tali». Per questo, proseguono i presuli, «chiediamo al governo di adottare misure forti per proteggere le minoranze e politiche che possano aiutarci come nazione a diventare esseri umani pacifici e una società migliore, in modo che tali incidenti non possano verificarsi in futuro». Il comunicato della Conferenza episcopale si chiude con una domanda retorica: «Sarà fatta giustizia? È molto triste constatare che le esperienze passate ci dimostrano che non è successo nulla e che tutto è stato dimenticato». 

L’Arcivescovo di Islamabad-Rawalpindi e Presidente della Conferenza episcopale cattolica, Mons. Joseph Arshad, ha descritto gli attacchi di ieri come «un atto ripugnante che contraddice l’essenza stessa della pace, del rispetto e della tolleranza che la nostra nazione si sforza di sostenere. Chiedo urgentemente al governo del Punjab di intraprendere un’azione rapida, decisa e risoluta contro i responsabili di questo atto atroce. I colpevoli devono essere identificati, arrestati e assicurati alla giustizia». 

L’Arcivescovo di Karachi, Mons. Benny Travas, ha diffuso una lettera, inviata ad «Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN)», in cui condanna la violenza e critica il comportamento delle autorità in materia di giustizia. «Ancora una volta abbiamo le stesse vecchie condanne e visite da parte di politici e altri funzionari governativi che esprimono la loro solidarietà alla comunità cristiana», affermando che «”giustizia sarà fatta”, ma in realtà nulla si realizza e tutto viene dimenticato». In merito alle accuse di presunta blasfemia il presule aggiunge: «Come capo della comunità cristiana cattolica residente a Karachi, non riesco proprio a comprendere come la mia gente possa mancare di rispetto verso qualsiasi religione o verso qualsiasi libro religioso. Noi come comunità cristiana abbiamo ripetutamente dimostrato la nostra fedeltà alla nazione del Pakistan, eppure incidenti come [quello di] Jaranwala dimostrano che in realtà siamo cittadini di seconda classe, da terrorizzare e spaventare a piacimento».  La Chiesa ovviamente non si è limitata a denunciare l’accaduto, ma si è anche attivata per fornire pacchi alimentari, sapone e altri articoli sanitari, tazze, piatti e altri beni di prima necessità. 

La reazione delle istituzioni
Il primo ministro provvisorio del Punjab, Mohsin Naqvi, ha promesso di ricostruire rapidamente tutte le chiese e le case incendiate. La polizia locale ha riferito di aver effettuato circa 700 arresti. Gli amministratori distrettuali hanno vietato per sette giorni ogni forma di assembramento, a eccezione di quelli organizzati dal governo. Il governo del Punjab ha inoltre ordinato un'inchiesta per indagare sull'accaduto. 

Ancora una volta la minoranza cristiana del Pakistan, nella quasi totale indifferenza internazionale, è vittima di una feroce persecuzione. Scopriremo presto se la reazione delle istituzioni sarà stata sufficiente per contenere, almeno temporaneamente, l’estremismo islamico.