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COME PER ASIA BIBI, PER HUMA YOUNUS L’UNICA SALVEZZA È LA CORTE SUPREMA

Ennesimo nulla di fatto nella vicenda di Huma Younus, la 14enne cattolica rapita il 10 ottobre scorso a Karachi in Pakistan, e poi stuprata, convertita a forza all’Islam e costretta a sposare il proprio sequestratore.

Come riporta ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) l’avvocato dei genitori di Huma, Tabassum Yousaf, questa mattina si è tenuta una nuova udienza presso l’Alta Corte del Sindh, la provincia di Karachi. Anche stavolta la ragazza non è stata condotta in aula come richiesto dai giudici. 

Si è avuto invece l’esito del tanto atteso referto della visita medica per attestare l’età di Huma. Nonostante i genitori abbiano fin da subito fornito i certificati di nascita e di battesimo – sui quali è riportata come data di nascita il 22 maggio 2005 – il sequestratore, il musulmano Abdul Jabbar, ha sempre sostenuto che la ragazza fosse invece maggiorenne. Dopo numerosi rinvii, attribuiti dalla polizia all’impossibilità di entrare in contatto con la ragazza per effettuare la visita medica, oggi finalmente il responso: secondo l’esame osseo Huma avrebbe 17 anni.

Un’età che non corrisponde alla reale, ma che comunque attesta la minore età della giovane e prova l’irregolarità sia della conversione che del matrimonio. Eppure non è stato disposto alcun mandato di cattura per Jabbar, né è stato ordinato di riportare Huma a casa. I giudici si sono limitati ad indire una nuova udienza il prossimo 16 aprile. Allora Huma avrà già trascorso sei mesi nelle mani del suo aguzzino, vittima di abusi quotidiani.

«Si conferma quello che abbiamo sempre creduto – dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre la madre di Huma, Nagheeno Younus – i giudici stanno prendendo tempo nell’attesa che Huma compia 18 anni, così da poter chiudere il caso. Dichiarando che la mia bambina ha 17 anni, sarà sufficiente per loro aspettare qualche mese prima di abbandonarla al suo destino». Forti dubbi si nutrono inoltre sull’integrità della polizia locale, incaricata di supervisionare gli esiti dell’esame medico, i cui agenti hanno più volte agito negli interessi del musulmano Jabbar. Lo stesso ha perfino costretto Huma a presentare un’istanza contro i propri genitori, nella quale la giovane ha asserito di temere che i propri familiari potessero ucciderla.

Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN) continua a sostenere la famiglia e a farsi interamente carico delle spese legali. «Purtroppo è andata come temevamo – afferma la responsabile per il Ticino del  Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACN), Lucia Wicki-Rensch – dai primi due gradi di giudizio non è giunta giustizia per Huma. Ma noi non ci arrendiamo e, assieme all’avvocato Yousaf, porteremo il caso alla Corte Suprema. È stato questo tribunale a liberare Asia Bibi, la cui libertà sfortunatamente non ha significato alcun cambiamento per le minoranze religiose in Pakistan. È stato solo uno spot per mostrare un Pakistan moderato alla comunità internazionale».